Inizia la chemio
Il colloquio con il dottor Michele Milella segna l’inizio della cura. Seguendo le indicazioni di Verona, mia cugina immunologa lo ha contattato e con il mio compagno e lei, ci rechiamo all’IFO a incontrarlo. Mi fa parecchie domande e, una volta scoperto che mia madre ha la mutazione genetica, mi propone di autorizzare un prelievo di sangue per verificare se anche io sono portatrice di mutazione Brca2. A spese di una società farmaceutica che sta sperimentando un farmaco.
Esco dall’incontro piuttosto serena. Milella mi sembra infatti una persona competente, gentile, concreta e attenta. Imparerò nei mesi a conoscerlo meglio, ma quel che apprezzo di più in quel momento è l’assenza di arroganza, che mi impedisce quando la incontro di avere un rapporto decente e utile con un medico. Motivo per cui tendo ad evitare i primari, che con le dovute eccezioni danno sempre l’impressione che ti stiano facendo una cortesia a visitarti.
Il 12 dicembre vengo ricoverata all’IFO, dove mi impiantano il Port-a-cath… E qui apro una breve parentesi informativa. Per fare la chemio, ti inseriscono un ago in vena per iniettare il farmaco. Possono ogni volta farti un buco nuovo, ma alla lunga le vene ne risentono (e finiscono per farlo sul dorso della mano, dove l’ago fa proprio male, ma la vena è molto più facile da trovare).
Oppure
ti montano un PICC.
Un tubicino di silicone che arriva dal braccio, verso l’interno, fino alla vena
centrale sul torace. Non mi so spiegare bene, ma al link trovate foto e
descrizione.
Oppure ancora ti montano un port-a-cath
, o port, che si impianta in anestesia locale sul torace, sottopelle. È una
specie di scatoletta tonda di metallo, collegata con un tubicino alla vena. Ha
un coperchietto di silicone. Quando ti devono infondere la chemio, bucano con
l’ago in corrispondenza del port, e tramite il port passa tutto.
Se si prevede che sarà necessario fare parecchia chemioterapia, avere uno di questi dispositivi aiuta sul serio. Possono essere tenuti nel corpo per molto tempo, mesi o anni. Le vene soffrono molto meno, non fa male. E nel caso del port non hai neanche bisogno di fare particolari attenzioni nella vita quotidiana. Con il PICC bisogna usare certe precauzioni quando ci si fa docce o bagni. Negli ultimi mesi poi hanno confermato che possono anche infondere il liquido di contrasto per la TAC attraverso il port, e quindi si risparmia l’ennesimo buco. E naturalmente volendo si può prelevare il sangue dal port, anche se non lo fa quasi nessuno, perché occorre più materiale e qualche minuto in più per fare il lavaggio con soluzione fisiologica dopo.
Milella ha preso per scontato che mi servisse il port, ed è una delle tante cose per cui gli sono grata. Non mi ha detto che avrei trascorso anni facendo la chemio e che quindi tanto valeva montare subito il port: in quel momento non sarei stata in grado di affrontare quel livello di informazioni, credo. Me lo ha “proposto” come percorso scontato da seguire.
Il 15 dicembre mi fanno la PET per fissare la situazione alla vigilia della chemio.
Il 16 dicembre 2017 inizio il primo ciclo di chemioterapia con il protocollo Folfirinox ( regime di combinazione di 5-fluorouracile/acido folinico, irinotecano e oxaliplatino). Milella mi ha infatti spiegato che essendo io in buone condizioni fisiche aveva deciso di fare la chemio più aggressiva a sua disposizione, perché sarei stata in grado di reggerla. Spiega pure che su 10 pazienti, 2 hanno zero effetti collaterali, 2 hanno fortissimi effetti collaterali, e gli altri 6 si distribuiscono equamente lungo la scala intermedia. Gli chiedo se c’è qualcosa che posso fare per garantirmi un posto nel 20% che soffre poco, e ridendo mi dice che purtroppo ancora non si è capito quali sono i fattori individuali che producono questa differenza di reazioni.
Chiedo pure se gli effetti collaterali peggiorano con il tempo, e lui, spostando un po’ la questione, mi spiega che il buongiorno di solito si vede dal mattino. L’esperienza poi mi ha dimostrato che gli effetti vanno piano piano aumentando, con l’accumularsi della tossicità. Ma è vero che se hai reagito bene inizialmente, è difficile che all’improvviso la situazione si rovesci.
Nel momento della prima chemio, attorno alle 10 di mattina del 16 dicembre 2017, ho lì con me mia madre e Adelaide. Mia madre è tesissima. Lei ha fatto la chemio tanti anni fa e se lo ricorda come un vero incubo. È l’ultima cosa che avrebbe voluto per me. E io dopo un po’ mi rendo conto che mi ha trasmesso in qualche modo la sua ansia, e quindi nel momento in cui “aprono i rubinetti” e iniziano a infondere liquidi, mi aspetto di sentire qualcosa… come fosse il veleno che circola, forse calore come quando ti iniettano il mezzo di contrasto per la TAC.
Naturalmente non sento niente, e scoppio a ridere da sola. Però sono in tensione e poco dopo ho mal di pancia. Penso “eccola là, iniziano subito gli effetti collaterali“. Per scoprire dopo una decina di minuti che in realtà mi stavano ancora iniettando i farmaci di preparazione, quindi era tutto un problema della mia testa. E da quel momento decido che è più sano pensare ad altro.