Viaggiare come protocollo terapeutico

Marocco, dicembre 2019

Oggi, 28 dicembre 2019, scrivo da un treno diretto a Marrakesh, in Marocco. Sono qui in vacanza per una settimana con mia  sorella e Michela. Avevamo bisogno di caldo e di sole. Anche mia sorella, tipa tosta, a settembre ha fatto un’operazione di mastectomia bilaterale e contemporanea ricostruzione. Il tutto l’ha tenuta ferma per due mesi, e ancora oggi stenta ancora un po’ a riprendersi del tutto.

È molto tempo che non aggiorno il mio blog. Avrei voluto finire di raccontare la mia storia, di portarla al giorno di oggi,  per poter poi andare avanti e scrivere eventuali riflessioni odierne.

Non l’ho fatto perché, come ho scritto altrove, ero molto impegnata a vivere, presa a fare cose che mi appassionano. E quindi è rimasto tutto fermo. In realtà ho scritto anche molto, ma l’ho fatto in altri luoghi. Recentemente ho risposto a una intervista dell’associazione Codice Viola con la quale sono ormai impegnata molto attivamente. In questa intervista c’è la sintesi della mia storia, aggiornata ad oggi. Ma vorrei provare poi a raccontarla in maggior dettaglio, descrivendo meglio le mie sensazioni di allora, le mie emozioni, speranza e anche rabbia. Mi ci impegnerò, promesso.

Condivido fermamente la convinzione del mio oncologo che i viaggi debbano fare parte integrante dei protocolli di cura. Io ho notato in questi 25 mesi che il viaggio, l’idea di partire, l’attesa, la preparazione, la partenza e lo stare fuori da sola o in compagnia sono elementi che mi fanno veramente bene. Distraggono dall’idea di malattia, costringono a vedere nuove realtà, ad assaggiare cibo nuovo, a volersi bene. A non considerare se stessi, la propria malattia o il proprio paese come l’ombelico del mondo. Costringe a fare movimento fisico, non fine a se stesso ma allo scopo di arrivare a vedere bei posti.

In Marocco per me è più difficile, perché non ho una connessione dati – e così mi sono accorta che  non uscivo dall’Europa da molto, troppo, tempo. Sono abituata ad essere connessa sempre, a confrontarmi con amici tutto il giorno, a vivere a stretto contatto con il mio Fist Post, la mia chat privata. Qui invece mi connetto solo in albergo mattina e sera, e per il resto niente. Io sono una dalla comunicazione immediata. Non rimugino. Scrivo di getto, rileggo e pubblico o spedisco se si tratta di una mail. Quindi non riesco a scrivere di giorno e spedire a scoppio ritardato. Questo è il mio primo tentativo.

Stamattina, praticamente l’inizio del viaggio, siamo andate alla Moschea Hassan II di Casablanca. Una moschea moderna, enorme, costruita attorno al 1990, bellissima. Devo dire che non ho mai visto una bellissima chiesa cattolica moderna, mentre oggi eravamo a bocca aperta. Costruita in soli 6 anni. Con un impegno architettonico straordinario. Un luogo che già all’aperto ti mette di buon umore. Ero felice, e l’ho detto a voce alta.

Ieri sera, a cena in un bellissimo ristorante, il Mercat, abbiamo mangiato bene e anche riso molto. Con il mio humour un po’ macabro raccontavo alle mie compagne di viaggio che ho iniziato a scrivere le istruzioni per il mio non-funerale. Evento al quale devo ancora dare un nome. Me lo sto immaginando parecchio fuori dalle righe (trattandosi di me, nessuno si sorprenderà). Loro, per fortuna, non si sono commosse, ma sono entrate nel mio filone di umorismo e mi hanno preso in giro. Abbiamo quindi riso molto. È bello quando le tue amiche riescono a parlare con te di funerali e morte, con leggerezza e umorismo. È piuttosto raro, e ne ho bisogno. Non perché io abbia rinunciato all’idea di vivere a lungo, affatto, ma come dice un mio compagno di cancreas, anche lui malato ma senza sintomi o quasi “io non mi sento malato, mi sento come uno che sa che deve morire e però non sa quando ciò avverrà.”

2 Commenti

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Angelorispondi
18 Gennaio 2020 a 16:58

Vero, le chiese cattoliche moderne belle non sono molte (a volte, spero, anche perché precorrono i gusti, come avevano fatto a volte gli antichi; altre volte perché sono brutte e basta). Ma se capitassi nei paesi baschi spagnoli, prova a non perderti, se puoi, il santuario di Arantzazu (vicino a Onati), a patto di conoscere o farti raccontare un po’ di storia di quel posto, per cogliere come la cultura e la teologia possano farsi pietra. (A mio parere è da evitare la cripta, invece). Per tutto il resto, che è più importante, sempre grazie.

Francifishrispondi
23 Gennaio 2020 a 18:51
– Rispondi a Angelo

Grazie Angelo del suggerimento. Me lo segno.

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